Il recesso unilaterale del committente nel contratto di appalto

Il recesso unilaterale del committente nel contratto di appalto
25 Agosto 2020: Il recesso unilaterale del committente nel contratto di appalto 25 Agosto 2020


Nel caso di specie, un Condominio, dopo aver stipulato un contratto di appalto con un’impresa, era receduto ai sensi dell’art. 1671 c.c.

L’impresa si era quindi rivolta al Tribunale per ottenere la condanna del committente al risarcimento del danno subito a fronte del predetto recesso.

Il Giudice di prime cure, tuttavia, rigettava la domanda dell’appaltatore.

Adita la Corte d’appello, l’appaltatore riusciva ad ottenere la riforma parziale della sentenza impugnata e la condanna del Condominio a corrispondergli la somma di euro 22.050,00, oltre interessi legali.  

In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto che all’impresa non potessero essere riconosciute, in quanto non provate, le spese sostenute dopo la conclusione del contratto.

Inoltre, andava rigettata anche la domanda di risarcimento del danno per spese generali di impresa, pari al 10% dei lavori commissionati, non avendo l’impresa dimostrato di avere provveduto all’organizzazione del cantiere.

Né, infine, poteva trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno per pretesa lesione dell’immagine (pari ad Euro 10.000,00), mancando la prova che della revoca dell’incarico fossero venuti a conoscenza soggetti terzi e che si fossero verificati effetti pregiudizievoli.

Al contrario, la Corte territoriale aveva riconosciuto il diritto dell’appaltatore ad ottenere un indennizzo per lucro cessante, “essendo notorio che la parte contrattuale che subisca l’interruzione di un rapporto in essere venga privata dell’utile che dall’esecuzione del contratto le sarebbe derivato, ove controparte non dimostri (come nella specie) un aliunde perceptum”.

Pertanto, in forza di un criterio equitativo, all’appaltatore doveva essere riconosciuta la percentuale del 10% del corrispettivo imponibile dell’appalto, analogamente a quanto previsto in materia di appalti pubblici.

Il Condominio proponeva ricorso per cassazione, censurando, tra le altre, la “violazione delle norme che regolano l’onere della prova nonché il principio di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c., in relazione all’affermazione secondo cui sarebbe stato onere di parte convenuta dimostrare l’aliunde perceptum dell’impresa". 

I Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso presentato dal Condominio, affermando che erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto certo l’an del pregiudizio, in considerazione del fatto che “il Condominio non ha neppure allegato l’aliunde perceptum e cioè che l’impresa, dopo la revoca dell’incarico, abbia comunque reperito altri clienti in modo tale da impiegare le proprie risorse produttive e da procurarsi un pari guadagno a quello che dalla esecuzione del contratto con il Condominio le sarebbe derivato".

Siffatta argomentazione, secondo la Corte, si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che, “in ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto d’appalto, ai sensi dell’art. 1671 c.c., grava sull’appaltatore, che chiede di essere indennizzato del mancato guadagno, l’onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, restando salva per il committente la facoltà di provare che l’interruzione dell’appalto non ha impedito all’appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato vantaggi diversi”.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Condominio e cassato la sentenza impugnata.

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